Marzo 2023 / MARKETS & ECONOMY
Un piede sul freno e uno sull'acceleratore
Le mie osservazioni sulle implicazioni economiche e di mercato derivanti dalle turbolenze bancarie
Considerata la velocità con cui si susseguono gli eventi, tentare di riassumere l’impatto delle turbolenze registrate nel settore bancario è un’impresa non semplice. (Non definiamola ancora una crisi bancaria. Ci soffermeremo di seguito su questo punto.)
Un fatto però sembra evidente: l’economia è posta di fronte a un altro fattore di criticità, ed è anche una ragione in più per confidare nel continuo sottopeso dell’azionario, rispetto alle obbligazioni e alla liquidità, adottato dal nostro Asset Allocation Committee.
Inasprimento delle condizioni finanziarie
Le banche di dimensioni medio-piccole stanno fronteggiando due problematiche. Sul fronte degli attivi, queste banche vedono stagliarsi all’orizzonte delle perdite sui prestiti e sui Treasury a duration più elevata. Sul lato delle passività, le società e le persone con ingenti patrimoni stanno ritirando i loro depositi.
Alla luce del minor valore registrato sul fronte degli attivi, le suddette banche saranno meno propense a concedere prestiti, semplicemente perché non possono incamerare ulteriori perdite, e inoltre tenderanno ad adottare un approccio più conservativo nel modo in cui investono. In ottica futura, tutto ciò comporta un inasprimento delle condizioni finanziarie.
L’indice Bloomberg United States Financial Conditions segnala che l’inasprimento delle condizioni finanziarie si è già attestato al suo picco, se si considera il periodo successivo allo scoppio della pandemia.1 La situazione potrebbe volgere al peggio. Continuo a pensare al triste adagio di Wall Street (con ogni probabilità risalente agli anni in cui l’uso delle cinture di sicurezza non era ancora diffuso): “Quando la Fed tira il freno, qualcuno è destinato a urtare violentemente il parabrezza.”
A oggi è arduo sapere quanti ancora si faranno male. Non abbiamo ancora subito pienamente l’impatto degli effetti derivanti dall’aumento di 475 punti base dei tassi innescato dalla Fed a partire dal marzo 2022;2 vi sono tuttavia diversi segnali che indicano un rilevante rallentamento dell’economia orchestrato dalla Fed:
- Gli indici dell’economia globale registrano una significativa contrazione.
- Gli indicatori anticipatori del ciclo economico dipingono all’orizzonte uno scenario critico.
- In base alle nostre stime, i prezzi delle case potrebbero calare fino al 10%.3
- La curva dei rendimenti (ovvero la differenza dei rendimenti dei Treasury tra le scadenze a 10 anni e 2 anni) è ora invertita in una misura pari a 60 punti base.4 (Di norma le inversioni della curva sono un chiaro segno premonitore delle recessioni, anche se tale precognizione non è precisa al 100%.)
Wall Street non sembra affatto preoccupata
Nel contempo, le azioni dell’indice S&P 500 viaggiano a multipli di circa 18 volte gli utili attesi; valori sicuramente non a saldo e in linea con la media registrata nell’ultimo decennio, mentre le stime di consenso indicano un incremento dell’insieme degli utili riferiti al suddetto indice per il 2023, anche se in misura contenuta.5
Nel complesso, risulta evidente come le criticità sul fronte finanziario implicheranno un atteggiamento più accomodante da parte della Fed. Il drenaggio di liquidità e il rallentamento della crescita all’indomani delle turbolenze osservate sul fronte bancario aiuteranno a raffreddare l’inflazione, agendo in un certo senso come sostituti di un ulteriore rialzo dei tassi. Spesso si trascura il fatto che la Fed abbia un terzo mandato, la stabilità finanziaria, insieme ai due obiettivi spesso citati: promuovere la piena occupazione e agire per controllare l’inflazione.
Le azioni mirate della Fed servono a un duplice scopo
Tutto ciò non significa che la Fed dovrà necessariamente d’ora in avanti tenere fermi i tassi o ridurli. Detto altrimenti, la banca centrale statunitense potrebbe agire sul freno (mediante ulteriori rialzi dei tassi) e al contempo dosare anche il pedale dell’acceleratore, immettendo liquidità (o ricorrendo a dei veri e propri bailout, se si vuole utilizzare questo termine tabù) nel sistema bancario.
Verosimilmente, le autorità monetarie seguiranno l’esempio dei loro colleghi europei, impiegando delle azioni mirate per domare ulteriori segnali di stress, nel momento in cui dovessero materializzarsi all’orizzonte. Per esempio, l’estate scorsa la Banca centrale europea aveva ribadito la volontà di procedere con il suo programma di rialzi dei tassi, inserendo al contempo una sorta di scudo anti-frammentazione, volto a mitigare eventuali situazioni di stress sul fronte del debito sovrano italiano. L’autunno scorso, la Banca d’Inghilterra aveva continuato ad aumentare i tassi, seppur impegnata a evitare una pericola crisi sul sistema pensionistico inglese mediante l’acquisto di titoli di Stato a lunga scadenza (i Gilt britannici).
Qualche criticità, ma nessun cataclisma imprevedibile all’orizzonte: una crisi finanziaria appare poco probabile
Riteniamo improbabile il verificarsi di un collasso sistemico, paragonabile alla crisi bancaria che prese piede nel 2008. Ci sono infatti varie differenze sostanziali:
- In primis, ad oggi non siamo in recessione. All’epoca del crollo di Lehman Brothers (settembre 2008) l’economia si trovava in recessione da ormai nove mesi. Adesso, soprattutto negli Stati Uniti, siamo in una fase di piena occupazione, mentre le famiglie e le imprese hanno ancora buone riserve di liquidità, anche se non più ai livelli elevati del periodo post-pandemico.
- Le banche hanno più capitale e sono meglio regolamentate rispetto al 2008, con maggiori disponibilità liquide di cassa e coefficienti patrimoniali più solidi.
- Vi è inoltre una minore speculazione sui mutui ipotecari di dubbia qualità, con i relativi derivati associati a essi. A ben vedere, i tassi di insolvenza sui mutui sono prossimi ai minimi storici.
- In questa fase, le banche stanno fronteggiando in prevalenza delle perdite di valore sui titoli di debito, dovute all’inasprimento monetario orchestrato dalla Fed. La Silicon Valley Bank aveva investito massicciamente in Treasury USA, benché con un enorme disallineamento sul fronte del rischio associato ai tassi d’interesse (duration). Adesso è più semplice invertire il trend sul lato dei tassi e stemperare le pressioni sui bilanci, mentre nel 2008 le banche dovevano fronteggiare perdite creditizie irreversibili.
- In seguito alle riforme bancarie adottate nel 2010, è aumentata in misura significativa la trasparenza mentre c’è minor speculazione nelle aree complesse e non regolamentate dei mercati finanziari.*
Per descrivere la situazione attuale, un mio collega usa il termine “anatra nera”, in contrapposizione con l’ormai celebre “cigno nero” del 2008.** La visione di un’anatra nera è un fatto molto più abituale rispetto a un cigno nero: la prima si vede di tanto in tanto e non è certamente un evento straordinario.
In altre parole, non bisogna farsi prendere dal panico, ma occorre valutare un ridimensionamento delle aspettative sul fronte della crescita e degli utili.
*Indubbiamente, i recenti fatti hanno fatto emergere delle lacune nella regolamentazione bancaria statunitense, soprattutto riguardo al fatto che le banche con asset inferiori a 250 miliardi di dollari non sono sottoposte agli stessi stress test che devono osservare gli istituti al di sopra di tale soglia. In definitiva, tutto ciò porterà a una maggiore regolamentazione delle banche, con conseguenti contrazioni degne di nota sui loro margini. Ritengo quindi che qualche dubbio continuerà ad aleggiare sugli utili del settore bancario, nonostante il recente sell-off. Ciò detto, stiamo osservando delle opportunità in alcune aree del settore finanziario, colpite in misura analoga dall’ondata ribassista; un esempio in tal senso è il comparto assicurativo.
**Un riconoscimento per aver proposto tale analogia va a Dave Eiswert, Portfolio Manager della strategia Global Focused Growth Equity.
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17 Marzo 2023 / INVESTMENT INSIGHTS
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