Luglio 2023 / INVESTMENT INSIGHTS
Le banche centrali incorrono in un potenziale errore di politica
Le posizioni aggressive comportano rischi di stretta eccessiva e conseguente recessione
Stiamo forse incorrendo in un errore di politica monetaria globale? Questo interrogativo appare valido alla luce delle recenti posizioni aggressive assunte da alcune banche centrali dei principali Paesi sviluppati. Ora esiste un rischio significativo che tali banche centrali possano attuare una stretta eccessiva nell’intento di frenare l’inflazione, contribuendo a spingere l’economia globale in recessione e causare una recessione dei mercati finanziari. Per contro, è possibile che la banca centrale cinese stia commettendo un tipo di errore diverso non allentando la politica in misura sufficiente a sostenere l’economia del Paese.
Banca Centrale Europea (BCE)
La BCE ha fornito quello che probabilmente è l’esempio recente più evidente di posizione estremamente aggressiva di una banca centrale primaria. Nella riunione di giugno, la BCE ha innalzato i tassi di 25 punti base (pb) e la Presidente Christine Lagarde ha dichiarato di prevedere un altro rialzo a luglio. L’aspetto più significativo è che ha sorpreso i mercati rivedendo al rialzo la stima di inflazione per il 2025; le aspettative di consenso prefiguravano un calo delle prospettive di inflazione e tale rialzo ha pertanto inviato un forte segnale aggressivo.
A seguito di questa revisione al rialzo della stima di inflazione, riteniamo che la BCE potrebbe addirittura effettuare un nuovo rialzo nella riunione di settembre. Tuttavia, come gran parte delle banche centrali, la BCE non vanta un solido track record in materia di previsioni accurate dell’inflazione e vi è quindi una chiara possibilità che l’inflazione risulti inferiore alla stima, e che la stretta della politica monetaria si riveli eccessiva.
Federal Reserve Bank (Fed)
Benché nella riunione di giugno sulla politica monetaria la Fed abbia lasciato i tassi invariati, dopo 10 aumenti consecutivi per un totale di 500 pb, la Summary of Economic Projections (SEP) ha indicato che i decisori politici prevedono di aumentare i tassi altre due volte nel 2023. Il Presidente della Fed Jerome Powell ha sottolineato l’approccio apparentemente energico al contenimento dell’inflazione dichiarando che i tagli dei tassi sono improbabili per un paio d’anni. Ciò rientra probabilmente nell’intento di convincere i mercati a non scontare tagli quest’anno, e ha funzionato: i contratti futures dopo la riunione della Fed hanno infatti evidenziato riduzioni dei tassi a partire dall’inizio del 2024. L’invito di Powell a non aspettarsi tagli fino al 2025 è tuttavia in contrastato con le proiezioni SEP, che hanno prefigurato un allentamento di 100 pb nel 2024.
La Fed ha indicato che terrà conto degli effetti cumulativi della stretta della politica al momento di decidere l’entità di ulteriori tassi, segnalando la probabilità di un maggiore intervallo tra i rialzi. Tuttavia, basterà questo a impedire una recessione? La vischiosità dell’inflazione core USA e la risolutezza della Fed a riportare l’inflazione all’obiettivo del 2% potrebbero facilmente portare la banca centrale USA ad alzare troppo i tassi e a tagliarli con lentezza quando l’economia cadrà in recessione.
Bank of England (BoE)
La BoE è sembrata virare nella giusta direzione quando è diventata una delle prime banche centrali dei principali Paesi sviluppati ad aumentare i tassi dopo il rimbalzo economico del 2020 a seguito della recessione causata dalla pandemia. Tuttavia, ha in seguito adottato un approccio “distaccato, fiducioso nel calo dell’inflazione” per gran parte del 2022. È quindi rimasta dietro la curva in termini di lotta all’inflazione e l’inflazione headline dei prezzi al consumo nel Regno Unito è balzata ben oltre il 10%.
Ora i lavoratori nel settore pubblico del Paese chiedono enormi aumenti salariali, incrementando il timore che possa innescarsi una spirale salari-prezzi. Nella riunione di giugno, la BoE ha reagito e colto di sorpresa i mercati innalzando i tassi al 5%, con un aumento di 50 pb - maggiore del previsto - che fa prevedere un tasso terminale del 6% per questo ciclo. I tassi ipotecari potrebbero raggiungere l’8%, facendo crollare la spesa al consumo in un Paese in cui i mutui a tasso fisso sono rari. Gravata da questo contesto di inflazione ancora elevata, la BoE potrebbe così innalzare i tassi a un livello tale da spingere l’economia in recessione.
People’s Bank of China (PBOC)
Gli errori delle banche centrali in tema di politica monetaria possono naturalmente assumere forme diverse. Invece di aumentare troppo i tassi, è possibile che la Cina non li riduca in misura abbastanza aggressiva da sostenere la propria crescita economica. All’inizio di giugno, la PBOC ha abbassato il tasso di riferimento sui prestiti a medio termine a un anno di soli 10 pb, il primo taglio da agosto 2022. Malgrado i minori tagli successivi dei tassi primari sui prestiti a uno e cinque anni, l’economia cinese sta palesemente vacillando dopo la crisi legata alla politica zero-COVID e potrebbe avere difficoltà a raggiungere anche l’obiettivo di crescita annuale relativamente modesto del 5% fissato dal governo per il 2023.
Tuttavia, la Cina è un’anomalia in un mondo in cui molte banche centrali dei mercati sviluppati faticano a contenere l’inflazione. Prolungando i cicli di rialzo a fronte di un’inflazione vischiosa, queste banche centrali potrebbero creare ulteriori problemi economici in futuro. Al contrario, alcune banche centrali dei mercati emergenti stanno riuscendo a ridurre l’inflazione dopo aver aumentato i tassi in modo più rapido e significativo. Le banche centrali di Paesi come il Brasile stanno ora prendendo in considerazione tagli dei tassi, il che ci induce a chiederci se le obbligazioni in valuta locale di tali nazioni scontino un premio al rischio eccessivo e se i titoli sovrani dei mercati sviluppati presentino un premio al rischio sufficiente.
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